Emanuele Petri era un uomo eccezionale, marito e padre esemplare. Un ottimo poliziotto, un “questurino”. Era di quelli che forse non era laureato, ma che poteva insegnare quali sono i valori della democrazia e tutela della libertà, quei valori che chi indossa una divisa hanno giurato di difendere.
Queste sono le parole usate dal Capo della Polizia durante la cerimonia per la ricorrenza del ventesimo anniversario dalla morte di Emanuele Petri. Sovrintendente capo della Polizia di Stato, fu ucciso il 2 marzo del 2003 a Castiglione Fiorentino (Arezzo), da due terroristi delle Nuove Brigate Rosse, mentre era in servizio di scorta sul treno regionale nella tratta Roma-Firenze.
Questurino, Sbirro, Madama, chiamateli come volete, la realtà è che sono servitori dello Stato e lo fanno con orgoglio; così come recita la Costituzione, con onore e disciplina. Per questo nessuno ha il diritto di usare un qualunque termine che li riguardi in chiave dispregiativa. Infatti, non si chiama un avvocato “azzeccagarbugli”; un medico-chirurgo “macellaio”; o a una professoressa di filosofia “chiacchierona”.
Il riferimento, volutamente evidenziato, richiama la polemica innescata dalla frase usata dalla professoressa di filosofia Donatella Di Cesare, ospite della trasmissione “Di Martedi” contro il numero uno del Viminale: “Un ministro non può parlare come un questurino”. Ogni considerazione mi pare superflua.
Tornando alla vita (e alla morte) vera, quello di Emanuele è stato un gesto di estremo di coraggio, un esempio di attaccamento al dovere che ha accompagnato in tutti questi anni ogni addetto alla sicurezza, e che gli ha lasciato in eredità la forza per fare ogni giorno il proprio dovere. Emanuele Petri fu ucciso dal brigatista Mario Galesi durante un conflitto a fuoco, che il terrorista, con la sua complice Nadia Desdemona Lioce, scatenarono a seguito di un normale controllo documenti effettuato dal Sovrintendente assieme ai due colleghi di pattuglia sul treno.
Petri capì subito che i documenti erano falsi. A questo punto i brigatisti non gli diedero scampo. Lo uccisero a sangue freddo e ferirono gravemente uno dei due operatori di scorta, che reagendo al fuoco uccise Galesi e, con l’aiuto dell’altro poliziotto, arrestò la Lioce. Da quel controllo iniziò l’indagine che portò, in breve tempo, allo smantellamento delle Nuove Brigate Rosse.
L’intuito del “questurino” Petri e il suo sacrificio per garantire la sicurezza di questo Paese, ancora vittima dei colpi di coda degli ultimi brigatisti, permise agli investigatori di assicurare alla giustizia anche gli assassini di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Onore al merito!
Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto ImagoEconomica