ADRIANO CELENTANO ENZO JANNACCI ENRICO INTRA

“Dove c’è l’erba, amore e vita c’èèè” cantava Adriano Celentano nell’estate del 1970, la canzone in questione, scritta dai suoi fedeli scudieri, Beretta, Del Prete e il Maestro Nando De Luca, si intitola “Viola”. Il testo parla di un amore che possiamo definire ecologico, con il ritorno ai prati in fiore, la campagna che vince sulla città e quel titolo che, per i superstiziosi che popolano il mondo dello spettacolo, è foriero di disgrazie. La viola, è anche uno strumento musicale a corde della famiglia del violino, nella quale occupa il posto del contralto-tenore, è leggermente più grande del “fratello” più celebre, e viene impiegata, principalmente, nella musica classica.

La Viola, in chiave calcistica, è la Fiorentina, la squadra che i suoi tifosi “voglion Regina”, la cui casacca è di quel colore, pare a causa di un errore dopo che alcune maglie biancorosse furono lavate in un fiume e, strizzandole, divennero viola. Ma nello specifico, Viola è il cognome del mio giornalista/autore/umorista/scrittore di riferimento, di quelli che quando li conosci, ti cambiano il modo di intendere il lavoro culturale. Giuseppe Viola detto Beppe, è stato un intellettuale prestato al giornalismo sportivo come lo erano stati prima di lui Gianni Brera, Sergio Zavoli, Giovanni Arpino, Orio Vergani, avanti anni luce rispetto alla massa dei colleghi carrieristi privi totalmente di quella folle genialità che lo contraddistingueva. Per chi non lo ha mai conosciuto e per chi lo ha dimenticato, basta ricordare l’intervista che Viola realizzò a Gianni Rivera in occasione delle festività natalizie del 1978, a bordo del tram che li avrebbe portati allo stadio di San Siro, era l’ultima stagione da calciatore per il “Golden Boy” che concluderà la carriera con il Milan vincitore dello Scudetto della prima Stella, tanto atteso dai tifosi rossoneri. E poi le collaborazioni con Jannacci, fraterno amico, Monicelli, Tognazzi e gli amici del Derby. Con la sua morte, avvenuta per un malore improvviso domenica 17 ottobre 1982, negli studi del Centro di Produzione Rai di Milano, mentre era intento a montare un suo servizio sulla partita Napoli-Inter, il mondo della cultura italiana ha perso un elemento di spicco insostituibile, per intenderci uno di quelli che all’esame per diventare professionista si era trovato davanti Enzo Biagi che gli aveva domandato: «Fanfani nello schieramento Dc sta a destra o a sinistra?» e Viola rispose dimostrando uno straordinario sense of humor: «Dipende dai giorni» o quando, il 3 gennaio 1979 scrisse la celebre “Lettera al Direttore”, sospesa tra il comico e il drammatico come solo i grandi sono in grado di creare: «Nel corso di questi anni, qualcuno con la q maiuscola mi fa capire che con una tessera potrei risollevare le sorti. Grazie, non mi interessa. Ho provato, a suo tempo, iscrivendomi al Psi: un anno o due mi sono bastati per capire che non ero fatto per il genere. Ho quarant’anni, quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo». Vi lascio con il ricordo di un padre artistico che di certo gli ha voluto un bene dell’anima, e che scrisse questesentite parole in memoria dell’erede perduto con le lacrime che cadevano copiosamente nel bicchiere di Barbacarlo.

«Era nato per sentire gli angeli e invece doveva, oh porca vita, frequentare i bordelli. […] Povero vecchio Pepinoeu! Batteva con impegno la carta in osteria e delirava per un cavallo modicamente impostato sulla corsa; tirava mezzo litro e improvvisava battute che sovente esprimevano il sale della vita. Aveva un humour naturale e beffardo: una innata onestà gli vietava smancerie in qualsiasi campo si trovasse a produrre parole e pensiero. Lavorò duro, forsennatamente, per aver chiesto alla vita quello che ad altri sarebbe bastato per venirne schiantato in poco tempo. Lui le ha rubato quanti giorni ha potuto senza mai cedere al presago timore di perderla troppo presto. La sua romantica incontinenza era di una patetica follia. Ed io, che soprattutto per questo lo amavo, ora ne provo un rimorso che rende persino goffo il mio dolore…»

(Gianni Brera, È morto Giuseppe “Pepinoeu” Viola. Aveva 43 anni!, la Repubblica, 19 ottobre 1982)

A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Marco Benazzi

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