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Gli amici di sempre, spesso li incontri da bambino, a scuola o al giardino pubblico, e li riconosci immediatamente perché se cadi dalla bicicletta o vieni punto da una vespa, sono i primi ad accorrere assieme al famigliare che ti ha accompagnato.

Alberto Anfossi lo conobbi proprio in queste circostanze, quando a causa di una caduta mi procurai una microfrattura al malleolo della gamba destra. Venni ingessato per circa un mese e in quel periodo, Alberto mi restò accanto ospitandomi a casa sua nei pomeriggi d’estate. Premetto che la sua abitazione era un enorme magione immersa nel verde, di quelle che mi era capitato di vedere solo alla televisione o nelle riviste specializzate che ci donava la moglie di un architetto, amica del cuore di mia zia Ortensia.

Mentre la cuoca ci preparava i soliti manicaretti da gustare nella pausa merenda, mi aggiravo nel salone delle feste, arredato con mobili antichi finemente restaurati e con alle pareti, enormi quadri raffiguranti scene di caccia alla volpe estremamente simili ad un puzzle che avevamo incorniciato e appeso nel nostro salottino. Fra le tante opere d’arte esposte, accanto alla porta che conduceva alla sala biliardo, c’era anche un quadretto che mi colpì particolarmente perché raffigurava un cane di razza spinone italiano, con addosso un maglione a “V” di colore giallo e come sfondo un cortile innevato.

Chiesi ad Alberto chi fosse il pittore che aveva realizzato quella tela e lui, commosso, mi rispose che era opera di suo zio Eriprando. Poi, durante la pausa, mi raccontò la storia di Emil.

Di ritorno da un weekend a Cortina, l’autista vide la sagoma di un giovane cane che si aggirava smarrito nei pressi di Savignano sul Rubicone, sulla via Emilia, con un cartello appeso al collo con su scritto: “Mi chiamo Emil, sono un cane buono, aiutatemi!” Naturalmente, finirono per caricarlo nel portabagagli della Bentley e lo portarono in villa. Dopo una seduta nella migliore toelettatura della città, Emil era tornato soffice e profumato come fosse appena uscito da uno spot pubblicitario.

Era di una bontà assoluta e rispettava ogni forma di vita, spesso nella sua ciotola si fermavano uccelli notturni, ricci, gatti, ma lui li osservava contento con il muso appoggiato alla zampa. Era l’eroe del personale di cucina e sala, solo il maggiordomo non lo coccolava in altrui presenza, ma quando si trovava solo con lui, si stendeva al suo fianco accarezzandolo lungamente e donandogli porzioni abbondanti di arrosto con le patatine, il suo piatto preferito.

Chiesi il perché di un quadro che lo rappresentava con un maglione addosso e lui, sorridendo, mi raccontò che in occasione di una abbondante nevicata, per proteggerlo dal gelo, lo zio Eriprando, gli fece indossare quel capo accendendogli la stufetta nella cuccia, ma Tommaso il giardiniere, gridò al miracolo perché convinto che la maglia, Emil, l’avesse indossata da solo. Quando Emil, terminò il suo soggiorno terreno, tutti gli abitanti della villa che lo avevano amato e che grazie all’amore che gli aveva donato, avevano anche cambiato il loro modo di intendere la vita, decisero di cremarlo e di sistemare l’urna all’interno della tomba di famiglia accanto agli avi. Emil Anfossi, 1962 – 1979, “IL CANE È UN GENTILUOMO. SPERO DI ANDARE NEL SUO PARADISO, NON IN QUELLO DEGLI UOMINI.(MARK TWAIN) 

A cura di Marco Benazzi – Foto ImagoEconomica

Editorialista Marco Benazzi

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