Quando termina un evento che prevede vincitori e vinti, la stragrande maggioranza tende a cercare l’amicizia di chi ha portato a casa il risultato pieno o, come si usa dire “sale sul carro dei vincitori. La folla, non dimentichiamolo, quando Ponzio Pilato gli offri la possibilità di liberare un prigioniero, scelse Barabba, condannando di fatto Gesù a morte.

Quel che è peggio, è che il carro dei vincitori viene preso d’assalto anche da buona parte di coloro che, in realtà, parteggiavano per una situazione opposta o contraria: in certi casi, ibarabbiani”, sentono il bisogno e l’esigenza di omologarsi per sentirsi parte integrante di un gruppo vincente.

Alviero Cardemonte, è una di quelle persone che, sin da piccolo, si schierava dalla parte dei perdenti” ma di quelli che Graham Green definirebbe perdenti-vittime, “che soffrono senza averne colpa non i prevaricatori e gli oppressori che, le volte che escono sconfitti risultano perdenti, per quelli la giusta definizione è “perdenti-boia”.

Grande sportivo e cicloamatore, quando segue le gare a tappe, ad esempio al termine del Giro d’Italia, festeggia sempre la maglia nera, quella che indossa l’ultimo classificato perché la fatica è la stessa di chi sale sul podio. Nel tennis poi, di cui Alviero è grande appassionato, anche grazie alle letture legate a quel mondo, da “Lolita”, il capolavoro di Vladimir Nabokov, buon giocatore che seguì questo sport per tutta la vita, il cui protagonista, Humbert, era un ex giocatore di tennis a buoni livelli, agli scritti di David Foster Wallace che il New York Times definì la mente più brillante della sua generazione”, ebbene l’eroe con la racchetta che Alviero ha seguito per un quarto di secolo si chiama Enrico Becuzzi, tennista pisano che ha perso 270 incontri a livello ATP ma a 47 anni non si perdeva d’animo e lottava, ad ogni match a denti stretti, pur di raggiungere l’obbiettivo di vincerne almeno uno.

Nel pugilato, altro suo punto di riferimento, grande perdente con spirito di sacrificio da vendere, Luigi “petto d’angeloMantegna, in vent’anni di carriera, su 109 incontri disputati, 2 li ha vinti e 2 pareggiati i rimanenti li ha persi.

Anche in politica, la famiglia Cardemonte aveva sempre votato per “quelli che facevano il bene dei poveri”, bianchi, verdi o rossi, l’importante era che usassero i mezzi pubblici per gli spostamenti in città, indossassero soprabiti rammendati, la domenica portassero a tavola verdure in umido, frittata, pane comune e frequentassero assiduamente la Biblioteca Civica. Gli unici candidati che, nell’arco di circa 80 anni, i componenti della famiglia Cardemonte individuarono, non raggiunsero mai i voti per poter rientrare nella cerchia degli eletti.

Nonno Gaspare, classe 1927, sosteneva che vincente non era chi vinceva, ma chi affrontava la vita con animo propositivo. Quando si perde ma non ci si dà per vinto, e ad ogni caduta ci si rialza con più forza, quello è il sintomo che la sconfitta è solo esteriore. Gaspare Cardemonte, di professione minatore in una cava di zolfo, era certo che siamo tutti un po’ vincenti, anche chi non crede di esserlo.
Capito Alviero?

A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto Repertorio

Editorialista Marco Benazzi

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