Quando gli ingegneri usavano il cervello e non i computer
L’acquedotto di Cantalloc o di Cantayo, nome ispanizzato è un’OPERA IDRAULICA parte di un sistema di ACQUEDOTTI dello stesso tipo (chiamati “PUQUIOS“) costruiti dalla civiltà preincaica dei Nazca risalenti al VI secolo. L’acquedotto assicurava l’approvvigionamento idrico alla città di Nazca e ai campi circostanti, permettendo la coltivazione di cotone, fagioli, patate e altro in una regione altrimenti arida. Oltre a questo ci sono circa una trentina di puquios nella zona di Nazca, molti dei quali ancora funzionanti come ad esempio Ocaña, Matara, Uchulla, Tejeje, Bisambra, Aja, Curve, Llícuas, Soisonguito, Copara e la Achirana. I Puquios non sono mai stati completamente mappati.
Il modello di trasporto idrico è basato sul Qanat, originario dell’antica Persia e che fu in seguito utilizzato anche da varie culture sia sulla via della seta fino in Cina che nella penisola Iberica.
Le acque vengono prelevate direttamente dalle falde acquifere presenti nelle zone montagnose circostanti la pianura di Nazca. Per ovviare al clima desertico, estremamente caldo e secco, l’acqua viene convogliata in una condotta sotterranea che, oltre ad evitare l’evaporazione del prezioso liquido, raccoglie le acque che filtrano dal terreno, aumentandone così l’efficienza.
Dapprima venivano scavati dei pozzi distanti 20-50 mt l’uno dall’altro, fino a trovare la falda acquifera. Questi pozzi, detti anche “ojos de agua” (occhi d’acqua), servivano sia come punti di accesso all’acqua, che da ispezione per manutenzione dell’acquedotto. Essi venivano collegati tramite una serie di condotte.
Nei pressi della città di Nazca la condotta dell’acquedotto di Cantalloc si trova a circa 4-5 metri di profondità; è possibile accedere alla condotta tramite i pozzi che sono costituiti da scivoli circolari e spiraleggianti che si inabissano nel terreno fino a raggiungere l’acqua.
L’acquedotto è tuttora funzionante e visitabile a pochi chilometri dalla città di Nazca.
Ci sono versioni contrastanti circa l’esatto periodo di costruzione degli acquedotti. Molti archeologi dicono che siano stati costruiti da architetti della civiltà Nazca attorno al 540 d.C. in risposta a due periodi di siccità prolungati in quei tempi.
Mancano comunque riferimenti storici dopo e prima della conquista spagnola. Il primo scritto storico riguardante la loro esistenza fu nel 1605 per opera di Reginaldo de Lizarraga, per cui alcuni contestano che essi possano essere stati costruiti dagli spagnoli, benché non vi siano prove di testi spagnoli che ne testimonino la costruzione.
Entriamo nei particolari:
Più di 1600 anni fa, gli abitanti della cultura Nazca svilupparono un sistema di puquios o acquedotti che prevedevano acqua durante tutto l’anno, non solo per l’agricoltura e l’irrigazione ma anche per le esigenze domestiche.
Gli acquedotti conducono le fughe dei fiumi Aija, Terra Bianca e Nazca attraverso tratti sotterranei (gallerie socavón) e tratte scoperte (galleria zanjón).
Nei tratti coperti costruivano caminetti a sezione elicoidale ogni determinato tratto (50, 100 e 120 m), per effettuare la manutenzione dei fossi e caricare la pressione atmosferica sull’acquedotto, mantenendo il regime di flusso uniforme, lo stesso che non causa erosione o sedimentazione in il canale. Le pareti di questi camini sono rivestite di pietre canterine rotolate, posizionate apparentemente senza agglomerante e mantengono la loro stabilità nonostante i fenomeni naturali.
Inoltre, nei tratti coperti, hanno tetto il canale per il quale hanno usato lastre di pietra e lastre di Huarango finemente posizionate. La costruzione di questi tratti coperti fa pensare che conoscessero tecniche di topografia sotterranea.
I tratti scoperti, lo rivestirono con pietra cantata rotolata, posizionati in modo tale e senza agglomerante, che hanno resistito agli attacchi della natura.
Le portate che fluiscono in queste gallerie vanno da 13 a 50 lt/s. Sono più di 30 gallerie che attraversano tutta la valle di Nazca.
A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 
Editorialista Pier Luigi Cignoli

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