Il lavoro, spesso ci porta a vivere come se partecipassimo ad una corsa ad ostacoli, quando sei fresco d’assunzione e quindi realmente e non diversamente giovane, gli ostacoli ci appaiono di un altezza abbordabile e la distanza, lunga circa trent’anni, non ci mette ansia perché siamo troppo concentrati a saltare quotidianamente l’ostacolo che ci si presenta, più passa l’età e diminuisce la lunghezza del tragitto, gli ostacoli paiono, spesso, insormontabili e solo la forza della disperazione riesce a farceli superare, conducendoci, giorno dopo giorno, verso la meta tanto agognata.


Con Paolo e Stefano, ho trascorso buona parte del mio percorso lavorativo e, con uno in particolare, anche una parte di quello scolastico. Entrambi sono transitati dal teatro di ricerca, quello pioneristico degli anni ottanta ma anche successivamente fino al termine del secolo scorso, passando dal portone principale, ricoprendo ruoli tecnici ed artistici. Negli ultimi cinque lustri, la loro casa è stata il Bonci, qui hanno contribuito con la professionalità che li contraddistingueva, alla realizzazione di spettacoli tra i più complicati ma al contempo affascinanti del periodo pre/post terzo millennio. Il clima aziendale, per chi come me lo viveva con un ruolo da comprimario, è sempre stato positivo, con alto grado di responsabilità e autonomia, collaborazione e senso di unità interno del gruppo.

La forza di Paolo, ad esempio, è sempre stata quella di stimolare la collaborazione e il lavoro di squadra, anche attraverso momenti ludici, da perfetto comunicatore, applicando l’ascolto attivo” e il “messaggio io”, competenze fondamentali per un facilitatore che applica il “Modello Gordon”. Il legame che mi unisce a lui, era dovuto alla frequentazione di un insegnante di Matematica e Fisica della scuola secondaria di primo grado, che peraltro era suo zio, il Professor Guido Martini, docente dall’approccio didattico originale che spingeva gli alunni a distinguersi dagli altri e a seguire la propria strada vincendo le proprie paure. 

Con Stefano, mi sono sempre ritagliato un momento legato alla passione che ci unisce, quella del calcio parlato, orfani entrambi delle analisi filosofico-pedatorie, perché è risaputo che un vero tifoso di calcio è un po’ filosofo, che in gioventù avevamo vissuto nei bar dove il gioco delle carte e quello del pallone erano di importanza vitale. La sua passione per i cavalli e per il regno animale in genere, ha contribuito a cementare il nostro rapporto, era stato un ottimo portiere come Albert Camus e per le nostre squadre del cuore, Torino e Inter, entrambi provavamo lo stesso piacere e la stessa eccitazione nel guardarle come solo Heidegger poteva provare guardando la fisicità e il tocco di palla del suo calciatore preferito, Franz Beckenbauer.

Tra pochi giorni, il loro percorso lavorativo al Bonci, si interromperà e allora, lo so già, da diversamente giovane con la lacrimuccia facile, vivrò la loro assenza, anche se solo in teatro, come un vero squatter del passato, mi rifugerò nel mio presente sfuocato, avvolto dalla nostalgia o, grazie al metodo appreso dai tanti anni passati al loro fianco, eviterò il passato, non sognerò il futuro, ma concentrerò la mia mente sul momento presente? Chissà, nel frattempo, grazie per avermi supportato e sopportato durante questi lunghi anni trascorsi assieme e vi auguro, BUONA VITA. Dimenticavo, quando riconsegnerete le chiavi del teatro, sappiate che questa porta, per voi, sarà sempre aperta, almeno fino a quando non deciderò di chiudermi in me stesso buttando via la chiave.

A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto Redazione 

Editorialista Marco Benazzi

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