La strage di Ustica rimane ancora una grave ferita aperta nel cuore dell’Italia. A quasi 44 anni dalla tragedia che costò la vita a 81 persone, gli inquirenti, dopo le numerose indagini, non sono ancora riusciti a dare un nome certo a chi ha abbattuto il Dc9 Itavia che il 27 giugno del 1980 viaggiava tra Bologna e Palermo. Eppure alcune evidenze emerse dalle ricerche ci permettono di delineare l’identikit di chi ha commesso la strage e anche i suoi possibili complici. Secondo Rosario Priore, il magistrato che per diversi anni si è occupato della vicenda giudiziaria di Ustica, scrive “quella notte nei cieli italiani c’era la guerra”.
Grazie alla Nato, che ha decriptato una parte dei tracciati radar, oggi sappiamo che attorno all’aereo civile italiano è accertata la presenza di almeno cinque aerei ed è altresì chiara l’azione che vede tre di questi jet intersecare la sua traiettoria poco prima e subito dopo della sua destrutturazione in volo.

A quali nazioni appartengono i jet militari e per quale motivo si trovano sulle tratte italiane? Spiega il maresciallo Giuseppe Dioguardi, che quella sera era in una base dell’aeronautica militare italiana, nella testimonianza rilasciata a Sky TG24: “Sotto al Dc9 c’erano due Mig libici, che provenivano dalla ex Jugoslavia. I due caccia di Gheddafi erano disarmati e cercavano di sfruttare l’ombra radar dell’aereo civile per fare ritorno a Tripoli. Ad intercettarli invece erano arrivati un aereo americano decollato da Capodichino e due Mirage francesi partiti dalle piste di Solenzara. I Mig si separarono in volo. Il primo si diresse verso Pantelleria inseguito dai due Mirage e riuscì a farla franca. Il secondo invece passò sotto la fusoliera del DC9 e fuggì verso la Calabria tallonato dal jet statunitense. L’aereo libico, dopo essere stato colpito, si schiantò sulla Sila”.

Per anni gli inquirenti si sono divisi tra l’ipotesi della bomba a bordo o del missile lanciato da uno dei caccia che stavano attaccando i Mig. Ma le indagini, effettuate dal professor Firrao, docente di Tecnologia dei materiali metallici e frattografia del Politecnico di Torino e dell’esperto esplosivista Giovanni Brandimarte, escludono categoricamente queste due ipotesi. Secondo i due studiosi le cause della tragedia possono essere invece spiegate con l’interferenza di un jet militare o nella collisione dello stesso con l’aereo civile. Per il giudice Giovanni Salvi, che si è occupato del caso Ustica dal 1990 al 2002, “il passaggio di uno dei due aerei subsonici sotto il Dc9 potrebbe aver causato una inversione del carico alare e un violentissimo movimento rotatorio che fece distaccare i motori del Dc9 e che poi subito dopo causò la sua destrutturazione in volo e la morte di tutti i suoi passeggeri”.

Gli attimi finali della strage di Ustica, come in un film, si dividono in due scene che scorrono in modo parallelo. Da una parte c’è la carlinga del Dc9 che precipita nel mar Tirreno insieme al jet che lo ha urtato. Secondo gli inquirenti infatti non è un caso che insieme ai pezzi del relitto dell’aereo civile sia stato ritrovato in mare un serbatoio alare, un battellino di salvataggio di colore giallo e un casco di un pilota con su scritto John Drake, tutti appartenenti all’aeronautica militare americana.

Dall’altra, c’è il Mig libico arrivato sulle coste calabresi, raggiunto da altri caccia alleati, che nel frattempo erano decollati dalle basi Nato della Sicilia e dalla Sardegna, che viene abbattuto sulle montagne della Sila. La guerra in cielo, cancellata dai tracciati radar, venne però vista da ben cinque testimoni oculari e confermata dalle comunicazioni del controllo aereo di Brindisi e dai carabinieri che pochi minuti dopo la tragedia di Ustica cercavano in Calabria le tracce di un aereo disperso nella zona di San Giovanni in Fiore, a solo un chilometro e mezzo da Timpa delle magare, dove verrà ritrovato il Mig libico.

E’ da queste due scene finali che inizia il più grande depistaggio della storia italiana. In quello stesso istante in cui avvengono questi fatti, tutti i radar che potevano vedere furono spenti. I tracciati e i documenti distrutti. Persino la presenza del personale nelle strutture fu nascosto o addirittura negato. Insomma, quello che accadde nei cieli italiani non doveva essere rivelato.

Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto ImagoEconomica 

Il Direttore Editoriale Carlo Costantini

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