La pena di morte, chiamata anche pena capitale, è una sanzione di tipo penale che consiste nel togliere la vita al soggetto condannato. 

La pena di morte in Italia

Nel 1861, l’anno in cui avvenne l’unificazione italiana, la pena di morte era in vigore in tutti gli stati preunitari, fatta eccezione per il Granducato di Toscana, che è stato il primo abolizionista di diritto. (Tortura e pena di morte furono infatti abolite per la prima volta nel mondo il 30 novembre 1786 dal granduca Pietro Leopoldo Asburgo Lorena)

La pena di morte fu reintrodotta nel 1926, durante il regime fascista, dopo 37 anni dalla sua abrogazione, al fine di punire coloro i quali avessero attentato alla vita o alla libertà del capo dello Stato o della famiglia reale, e per i reati contro lo Stato. Nel 1930 fu introdotto il Codice Rocco, che incrementò il numero di reati contro lo Stato punibili con la pena di morte e reintrodusse anche la pena su alcuni gravi reati comuni. Durante il ventennio fascista furono giustiziate legalmente 118 persone, delle quali 117 uomini e 1 donna. 

La pena di morte fu abolita dal re Umberto di Savoia alla caduta del fascismo, con il d.l.l. n. 224 del 10 agosto 1944: fu mantenuta solo per i reati fascisti e di collaborazione con nazisti e fascisti e inflitta dai tribunali militari degli alleati della seconda guerra mondiale. 

Al termine della guerra, la pena di morte rimase in vigore per punire i reati più gravi, quali rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, costituzione o organizzazione di banda armata.

La Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, abrogò la pena di morte definitivamente, per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace: l’ultima fucilazione per reati comuni avvenne in Italia il 4 marzo del 1947 alle 7:45, mentre l’ultima esecuzione avvenne il 5 marzo del 1947, alle 5 del mattino. La pena di morte rimase comunque nel Codice Penale militare di guerra fino al 1994, anno in cui fu sostituita dall’ergastolo. 

La pena di morte è oggi incostituzionale nel nostro Paese.

L’articolo 27 della Costituzione Italiana recita: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. 

La pena di morte è attualmente in vigore negli Stati Uniti d’America e in Giappone, che costituiscono gli unici due Paesi industrializzati, liberi e democratici nei quali la pena viene tuttora applicata e in altri Paesi come Cina, India, Egitto, Libia, Somalia, Suda, Afghanistan, Vietnam, Yemen, (complessivamente 33 nel mondo)

La pena di morte è ancora oggi al centro di forti dibattiti che spaccano esattamente in due l’opinione pubblica:

I favorevoli:

Sostengo che la pena di morte è inscritta nel codice della natura ed è stata utilizzata fin dalla più remota antichità – che ha carattere di “esemplarità – che rappresenta giustizia retributiva – che elimina ogni possibilità di “ripetizione del reato” – che risarcisce i parenti delle vittime   ed elimina il rischio di vendette private – che riduce il sovraffollamento delle carceri – che alleggerisce le spese di detenzione all’ergastolo.

I contrari:

Sostengono che la pena di morte viola il diritto alla vita e i valori dell’umanità – è una punizione crudele e disumana – non è dissuasiva – è un omicidio premeditato da parte dello Stato – è una forma di discriminazione e repressione- può provocare la morte di un innocente in caso di errore giudiziario – nega al condannato qualsiasi possibilità di riabilitazione.

Tornando all’articolo 27 della nostra Costituzione ( ……………… le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) e all’affermazione dei “contrari” alla pena di morte che “nega al condannato qualsiasi possibilità di riabilitazione”, nondovremmo, in ogni caso, esentarci da qualche considerazione in merito a tali “democratiche e umane parole”.

Propongo un esempio e lo rapporto a qualcosa che tocca l’attualità.

In questi giorni abbiamo assistito, tramite le reti TV e i social, ai massacri fatti dai terroristi (ripeto “terroristi” e non militari) di Hamas nei confronti di civili e soprattutto dei bambini, una mattanza assurda e vergognosa, perpetrata casa per casa, pertanto non una guerra ma veri e propri “delitti” compiuti e motivati solo dal “gusto infame” di uccidere, cosa ripetuta anche nella festa nel deserto. Chi ha commesso un tale reato a quale RIEDUCAZIONE o RIABILITAZIONE potrà mai essere sottoposto? Quale perdono potrà mai renderlo un essere umano in quanto ciò che ha commesso lo identifica come “una bestia”? Tali “infami” non dovrebbero essere giustiziati, fucilati, quali nemici del popolo e dello Stato?

Sono solo domande a cui “forse” non è facile rispondere o a cui “forse” non vogliamo rispondere, “forse” pressati ormai da una “giustizia” politicizzata!

Ovviamente un eventuale “reinserimento” di tale pena dovrebbe essere mirato a ben pochi fatti precisi e di grave peso, quali gli atti di terrorismo!

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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