LA CRITICA DI VARNELLI, UN UOMO PROSAICO
Un grande critico teatrale, caduto in disgrazia, ha deciso di
collaborare con “Il Popolano”, anche se in maniera saltuaria,
preferendolo al Corsera perché non sopporta che Gramellini ci sia
andato a fare “Il Caffè”.

“IL FUOCO DELLA TRASFORMAZIONE”
“IL FUOCO ERA LA CURA”
Teatro “Alessandro Bonci”, venerdì, 14 marzo 2025 ore 20,30

Nel teatro contemporaneo, dove l’innovazione si intreccia con la tradizione, la compagnia “Sotterraneo” ci propone un’opera che, pur liberamente ispirata a “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury, riesce a trasmettere un messaggio di vitale attualità: la lotta contro l’omologazione culturale e l’importanza della memoria. “Il fuoco era la cura” si erge come un faro in un mare di indifferenza, un inno alla parola scritta e alla sua salvaguardia.

La regia, audace e visionaria, si fa portatrice di una narrazione che mescola il dramma e l’assurdo, creando un’atmosfera densa di tensione e inquietudine. La scenografia, essenziale ma evocativa, riesce a ricreare un ambiente distopico in cui il fuoco diventa simbolo di distruzione e purificazione. Le fiamme, sapientemente rappresentate, non solo consumano i libri, ma anche le speranze di un’intera società assuefatta all’ignoranza.

Gli attori, con interpretazioni vibranti, danno vita a personaggi complessi e sfaccettati. Emergenze e conflitti interni si intrecciano, mostrando la fragilità della condizione umana in un mondo dove il sapere è messo al bando. La protagonista, una figura emblematicamente ribelle, incarna la resistenza contro un sistema oppressivo, mentre il suo antagonista, il pomposo custode dell’ignoranza, diventa il simbolo di un potere che teme la luce della conoscenza.

La scrittura, densa di riferimenti letterari e culturali, si fa veicolo di una riflessione profonda. Ogni battuta, ogni silenzio, è carico di significato; l’eco delle parole di Bradbury risuona nel cuore dello spettatore, invitandolo a prendere coscienza della propria realtà. La compagnia “Sotterraneo” riesce a trovare un equilibrio tra il rispetto per il testo originale e una rivisitazione che lo rende attuale e incisivo.

In questo contesto, è impossibile non notare come il vino e l’amore, elementi che talvolta hanno segnato il mio percorso personale, diventino metafore di fuga e di ricerca di verità. Il vino, simbolo di convivialità ma anche di oblio, rappresenta una tentazione che spesso distoglie dalla consapevolezza. Le donne, figure di forza e di vulnerabilità, si pongono come custodi della memoria, pronte a lottare per un futuro migliore.
“Il fuoco era la cura” è un’opera che invita alla riflessione, un richiamo a non farsi sopraffare dalla superficialità. La compagnia “Sotterraneo” riesce a fare di questo spettacolo un manifesto di libertà e di resistenza culturale, un monito che risuona forte e chiaro: la cultura è un bene prezioso, da proteggere e difendere a tutti i costi.

In conclusione, il mio invito è di non lasciarsi sfuggire questa esperienza teatrale. In un momento in cui il sapere sembra essere messo in discussione, “Il fuoco era la cura” rappresenta una luce in fondo al tunnel, un appello a riappropriarsi della propria voce e della propria storia. Un’ovazione meritata a “Sotterraneo”, che con coraggio e passione ci ricorda che, anche nel buio, la fiamma della conoscenza può sempre riaccendersi.

A cura di Marco Benazzi – Foto Masiar Pasquali

Editorialista Marco Benazzi

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