La critica di Varnelli, un uomo prosaico
“Il Cunto de lì Polli”
Nella splendida cornice di quel piccolo teatro di provincia intitolato al grande mago illusionista “Oreste Cobolli Frattini”, scomparso dopo un esperimento di smaterializzazione del corpo il 5 febbraio 1925, in una suite dell’Hotel Gandolfi di Monte Calvo, lasciando in uno stato di sgomento misto ad angoscia i suoi ammiratori e il titolare dell’Hotel che non vide mai saldato il debito lasciato dal “re delle sparizioni”, andava in scena “Il Cunto de lì Polli”, una frizzante reinterpretazione teatrale ispirata a “Il Cunto de lì cunti” di Giambattista Basile, ma con una peculiare e audace chiave di lettura: i protagonisti sono tutti polli. Qui, l’immaginazione floreale del regista visionario M° Mauro Bigolini, si mescola alla fiaba popolare, creando un’esperienza teatrale che è tanto surreale quanto divertente.
La scenografia è un capolavoro di semplicità e creatività in perfetto stile bigoliniano, che lo ricordo è un regista celebre per l’utilizzo di penumatici e catene, dove i primi rappresentano il ciclo della vita e il bisogno di fuga mentre le catene la schiavitù o la restrizione. Grandi uova di cartapesta impreziosiscono il palco, mentre le piume di diversi colori costellano il fondale, rendendo vivace e intrigante l’ambientazione. I costumi, progettati con materiali riciclati, esaltano i personaggi: polli con cappelli eccentrici, occhiali sovradimensionati e pettinature stravaganti che narrano storie di nobili galline e rocciosi galli.
La trama narra le avventure di una gallina, Odette, che scopre di avere il potere di materializzare in realtà i sogni degli altri polli. I suoi viaggi onirici la portano a scontrarsi con la terribile volpe, simbolo delle paure interiori, e a fare amicizia con un gruppo di polli intellettuali, che si riuniscono per discutere la loro condizione avicola in una sorta di “caffè letterario”, tra citazioni di autori classici e riflessioni sul senso della vita.
Le interpretazioni degli attori sono vere e interessanti, condite di quell’umorismo che strappa sorrisi a grandi e piccini. Ogni pollo ha con sé una caratteristica nel carattere che richiama emozioni universali: la vanità, la paura, l’innocenza. La loro scelta di usare il linguaggio del corpo è molto efficace e crea una sorta di danza che rende le interazioni molto vive; I dialoghi tra polli diventano poesia visiva.
Non solo spettacolare, questa rappresentazione è in grado di offrire una profonda riflessione: libertà di sognare nonostante le convenzioni sociali rappresentate dalla volpe che cerca di contenere l’estro creativo dei polli. La morale sarebbe: anche quando il mondo sembra essere piccolo, l’immaginazione può portare a scoprire cose inaspettate.
“Il Cunto de lì Polli” non è solo uno spettacolo per adulti con cuori da bambini, ma un invito a riflettere sul significato dei propri sogni e sul potere dell’immaginazione. Nel vortice giocoso di Bigolini, si viene catapultati in un mondo in cui anche le galline possono sognare cose fantastiche. Consigliato a chiunque abbia bisogno di un pizzico di creatività nella propria routine, questo spettacolo capovolge giocosamente la nozione di fiaba, rendendo ogni pollo un eroe dell’immaginazione. I Love Odette!
Dott. Oreste Maria Varnelli
Nota Biografica di Oreste Maria “Superciuk” Varnelli
Nato in una piovosa mattina d’autunno del 1968 a Cesena, Oreste Maria Varnelli, per tutti semplicemente “Superciuk”, è un critico teatrale le cui recensioni oscillano tra l’illuminante e l’assurdo, rispecchiando la sua intrinseca ciclotimia. Figlio di un’attrice di teatro d’avanguardia e di un critico cinematografico, Superciuk cresce nel fervente caos delle arti, dove il vino e la cultura si intrecciano sottilmente.
Fin da giovanissimo, rivela una predisposizione per l’assurdo: le sue prime uscite nel mondo del teatro avvengono nei bar di periferia, dove le conversazioni filosofiche si mischiano con le bollicine del Romagna bianco spumante. Dopo la laurea in Lettere, decide di intraprendere la carriera della critica teatrale: il palcoscenico è, a suo dire, l’ideale per appagare le sue emozioni più contrastanti.
Le sue recensioni, contraddistinte dalla combinazione di brillante acutezza e delirio personale, catturano l’attenzione di lettori e compagnie teatrali. Tuttavia, il suo stile di vita — caratterizzato da notti insonni spese tra un drink e l’altro — lo porta a oscillare tra momenti di grande ispirazione e periodi bui di crisi creativa. Quanto più il vino fa effetto, tanto più le metafore si tingono di un’intensità surreale e poetica.
Il suo modo di criticare è unico perché, in quei momenti lucidi, Superciuk scatena analisi acute e osservazioni acute che vanno dai classici del dramma greco fino ad alcune opere molto contemporanee. D’altra parte, sotto i suoi slanci alcolici, le sue recensioni si trasformano spesso in vere e proprie poesie di distruzione, a volte incomprensibili anche per gli stessi lettori, ma sempre piene di passione.
Vivace nell’animo teatrale, in un campo dove spesso la coerenza è vista come una virtù, Superciuk rimane un’anomalia. La ciclotimia lo spinge a vivere il teatro in tutte le sue sfumature e permette ad ogni produzione di essere abbracciata con freschezza che sorprende e confonde. Teatri di Bologna, Milano, e Roma: tutti si contendono i suoi articoli, pur sapendo che ogni sua parola potrà oscillare da esaltazione incontenibile a feroce critica nel giro di poche righe.
Oggi Superciuk vive in un umile appartamento nel centro di Bologna, pieno di copioni, bottiglie vuote e un taccuino pieno di pensieri sparsi. Continua a scrivere per riviste, blog e anche per séstesso, cercando di mettere un po’ di ordine nella sua vita. La sua reputazione di critico teatrale perennemente avvinazzato è divenuta parte integrante della sua attrattiva, dimostrando che nell’arte, come nella vita, possono essere proprio le sfide e le contraddizioni a dar vita a bellezze uniche ed imperfette.
A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto ImagoEconomica