Martino di Tours nacque circa nel 316 dc a Sabaria Sicca (odierna Szombathely in Ungheria) in un avamposto dell’Impero Romano alle frontiere con la Pannonia.

Suo padre, Tribuno militare della legione, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Ancora bambino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre aveva ricevuto un podere in quanto ormai “veterano”, e lì trascorse l’infanzia. A dieci anni fuggì di casa per due giorni che trascorse in una chiesa.

Nel 331 un “editto imperiale” obbligò tutti i figli di veterani ad arruolarsi nell’esercito romano. Così fu reclutato nelle “Scholae imperiali”, corpo scelto di 5.000 unità perfettamente equipaggiate: disponeva quindi di un cavallo e di uno schiavo. Fu inviato in Gallia, presso la città di Amiens, nei pressi del confine, e lì passò la maggior parte della sua vita da soldato. Faceva parte, all’interno della Guardia Imperiale, di truppe non combattenti che garantivano l’ordine pubblico, la protezione della posta imperiale, il trasferimento dei prigionieri o la sicurezza di personaggi importanti.  

In qualità di “circitor”, il suo compito era la ronda di notte e l’ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall’iconografia). Nel rigido inverno del 335 Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare, la clamide bianca della Guardia Imperiale e lo condivise con il mendicante.

La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare e lo udì dire ai suoi angeli: “Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito”. Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino medievale per “mantello corto”, cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di San Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all’oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato “cappella”.

Così Martino, già catecumeno, venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Rimase comunque ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni, raggiungendo il grado di ufficiale nelle “alae scholares” (un corpo scelto).

Giunto circa a quaranta anni, decise di lasciare l’esercito, secondo Sulpicio Severo dopo un acceso confronto con Giuliano, il Cesare delle Gallie in seguito noto come Apostata.] 

Iniziò la seconda parte della sua vita.

Martino s’impegnò nella lotta contro l’eresia ariana, condannata al Concilio di Nicea nel 325, e venne per questo anche frustato (nella nativa Pannonia) e cacciato, prima dalla Francia e poi da Milano dove erano stati eletti vescovi ariani.

Nel 357 si recò quindi sull’Isola Gallinara ad Albenga, dove condusse quattro anni di vita in eremitaggio parziale, poiché non del tutto solo, visto che le cronache segnalano che sarebbe stato in compagnia di un prete, uomo di grandi virtù, e per un periodo con Ilario di Poitiers; su quest’isola, dove vivevano le galline selvatiche, si cibava di elleboro, una pianta che ignorava fosse velenosa. Una leggenda narra che trovandosi in punto di morte per aver mangiato quest’erba, pregò e venne miracolato. Tornato quindi a Poitiers al rientro del vescovo cattolico, divenne monaco e venne presto seguito da nuovi compagni, fondando uno dei primi monasteri d’occidente, a Ligugé, sotto la protezione del vescovo Ilario!  

Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero loro Vescovo anche se alcuni chierici avanzarono resistenze per il suo aspetto trasandato e le origini plebee.

Come vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua semplice casa di monaco e proseguì la sua missione di propagatore della fede, creando nel territorio nuove piccole comunità di monaci.

Avviò un’energica lotta contro l’eresia ariana e il paganesimo rurale, interrompendo anche cortei funebri per il sospetto di paganesimo. Inoltre predicò, battezzò villaggi, abbatté templi, alberi sacri e idoli pagani, dimostrando comunque compassione e misericordia verso chiunque.

La sua fama ebbe ampia diffusione nella comunità cristiana dove, oltre ad avere fama di “taumaturgo” veniva visto come un uomo dotato di carità, giustizia e sobrietà.

Martino aveva della sua missione di “pastore” un concetto assai diverso da molti vescovi del tempo, uomini spesso di abitudini cittadine e quindi poco conoscitori della campagna e dei suoi abitanti. Uomo di preghiera e di azione, Martino percorreva personalmente i distretti abitati dai servi agricoltori, dedicando particolare attenzione all’evangelizzazione delle campagne.

Nel 375 fondò a Tours un monastero, a poca distanza dalle mura, che divenne, per qualche tempo, la sua residenza. Il monastero, chiamato in latino Maius monasterium (monastero grande), divenne in seguito noto come “Marmoutier”.

Nelle comunità monastiche fondate da Martino non c’era comunque ancora l’attenzione liturgica che si riscontrerà successivamente nell’esperienza benedettina grazie all’apostolato di San Mauro.

Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. La sua morte, avvenuta in fama di santità anche grazie ai miracoli attribuitigli, segnò l’inizio di un culto nel quale la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria erano associate.

Tra i miracoli che gli sono stati attribuiti, ci sono anche tre casi di “Risurrezione” per cui veniva designato “Trium mortorum suscitator”, cioè «Colui che resuscitò tre morti».

Il Vescovo di Tours, San Perpetuo, dal 461 al 491, commissionò al poeta e retore Paolino di Périgueaux, una biografia di San Martino di Tours, che fu redatta in versi, distribuiti in sei libri.

NOTE:

San Martino di Tours viene ricordato l’11 novembre, sebbene questa non sia la data della sua morte, ma quella della sua sepoltura. Questa data è diventata una festa straordinaria in tutto l’Occidente, grazie alla sua popolare fama di santità e al numero notevole di cristiani che portavano il nome di Martino. Nel Concilio di Macon era stato deciso che sarebbe stata una festa non lavorativa.

In Europa sono state dedicate al santo moltissime chiese, fin dal pieno Medioevo. La Basilica di Tours a lui dedicata fu tradizionale meta di pellegrinaggi medievali. Durante il periodo della rivoluzione francese la basilica fu demolita quasi completamente; rimasero due torri, ancora oggi visibili e nel 1884 fu progettata una nuova basilica che fu consacrata nel 1925.

Molte chiese in Europa sono dedicate a San Martino e in Italia quelle di Lucca e di Belluno  

L’11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania, dell’Austria e dell’Alto Adige partecipano a una processione di lanterne, ricordando la fiaccolata in barca che accompagnò il corpo del santo a Tours, mentre i bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l’oca. Secondo la leggenda, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche; il rumore fatto da queste rivelò però il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando.

L’episodio delle oche è rimasto nella tradizione scandinava. Una volta si celebrava in tutta la Svezia, mentre ora è rimasto nella regione meridionale della Scania. La sera del 10 novembre si festeggia la tradizione con un menu a base di “svartsoppa”, zuppa a base di brodo, sangue (preferibilmente d’oca) e spezie, oca e torta di mele.

In Italia il culto del Santo è legato alla cosiddetta “estate di san Martino” che si manifesta, in senso meteorologico, all’inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari.

In molte regioni d’Italia l’11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo, da qui il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino” ed è un’occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti, salvo nei paesi dove San Martino è protettore, la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale.

A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica 

Editorialista Pier Luigi Cignoli

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