Nella mia lunga carriera in polizia – senza soluzione di continuità – iniziata il 1° settembre 1968 e terminata il 31 agosto 2010, mi è sempre piaciuto dialogare, discutere, sindacare, bisticciare (a volte fare pace), scrivere comunicati e rendere pubblico quello che non era privato o coperto dal segreto istruttorio. Qualche “peccato” sicuramente l’avrò commesso anch’io, ma sempre veniale, in buona fede e mai con dolo.

Ieri 1980: Franco Fedeli. Un caro amico e combattente testardo, un vero eroe in abito civile, già direttore di varie testate giornalistiche nazionali e padre fondatore di “Polizia e Democrazia”. Fu per me una guida illuminata e uno dei più strenui fautori della smilitarizzazione e sindacalizzazione della polizia. A volte mi spiegava che purtroppo, alla fine di ogni braccio di ferro, a torto o ragione, “chi ti sta sopra” se qualcosa non gli è andata a genio, trova il modo o la maniera di fartela pagare e lo scrivente, che era sicuramente un buon poliziotto, ma un sindacalista molto, ma molto scomodo, ha dovuto patire le conseguenze di questa doppia funzione, sempre a testa alta e soprattutto senza mai abbassare lo sguardo.

Oggi 2024: Carlo Costantini. Il mio mentore e direttore editoriale, che non smetterò mai di ringraziare pubblicamente, a riprova del mio trasporto per tutto quello che fa riferimento alla carta stampata, dopo il mio pensionamento per limiti di età (2010), mi ha stimolato a diventare giornalista per poi inserirmi al suo fianco in redazione. Grazie Carlo!

Tornando al periodo trascorso nelle fila delle forze dell’ordine, negli oltre otto lustri di servizio, mi sono sempre sentito a mio agio nello svolgere anche la funzione, non priva d’insidie, del difficile compito (sindacale-professionale) di gestire i rapporti con i media.

Un passo indietro. Nel 1974, prima della costituzione del “Comitato Generale di Rappresentanza del Personale del Corpo delle Guardie di P.S.”, mi sono avvicinato al semiclandestino movimento. Dal 1981 al 2006, iscritto nel primo sindacato di polizia SIULP (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia), nel tempo ho ricoperto tutte le cariche previste dallo statuto: segretario di base (Cesena), provinciale (Forlì), regionale (Bologna), consigliere generale nazionale (Roma). Nel periodo preso in esame, sono stato membro del consiglio provinciale di disciplina della questura di Forlì-Cesena. Inoltre, dal 1990 al 1998 ho fatto parte della Commissione Centrale per gli Istituti d’Istruzione presso il Ministero dell’Interno (Roma) e nel biennio 2001/2002 della Commissione Periferica per le Ricompense della regione Emilia Romagna e Toscana (Bologna). Nel 2006, per divergenze interne con i vertici del sindacato, sono transitato nelle fila della UIL.PS (Unione Italiana Lavoratori Polizia di Stato) sempre con funzioni provinciali, regionali e nazionali.

Questa elencazione d’incarichi non vuole essere un epitaffio, anche perché non mi sento ancora sulla via del tramonto, pronto a lasciare questa valle di lacrime, ma potrebbe essere utile per comprendere meglio il mio percorso operativo/sindacale spesso lastricato di ostacoli. Il 15 luglio 1991, dal Centro Addestramento Polizia Stradale di Cesena – impegnato per venti anni in attività d’istruzione, addestramento e formazione del personale – sono stato trasferito al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Cesena, dove ho svolto funzioni di coordinamento e prevenzione, occupandomi anche di pubbliche relazioni. In concreto, essendo il più stretto collaboratore del dirigente, intrattenevo rapporti con la stampa e fornivo loro notizie allo scopo di dare lustro all’Amministrazione e i giusti meriti agli operatori di polizia impegnati nei difficili compiti istituzionali. Tra alti e bassi non sempre le mie esternazioni (in particolare quelle velatamente sindacali) erano gradite ai miei superiori e per vari motivi, talvolta, anche ai colleghi di altre organizzazioni sindacali. Un paio di esempi.

Il 14 luglio 1998, nel periodo in cui comandavo il presidio estivo di Cesenatico, venne a trovarmi l’amico Marco Pantani, fresco vincitore del Giro d’Italia e del Tour de France. In riviera la notizia si è sparsa alla velocità della luce, così da lì a poco cominciarono ad arrivare fans e giornalisti per vedere, intervistare e fotografare il Campione. Uno dei tanti scatti, all’interno del presidio di polizia, fu pubblicato, con tanto di articolo, anche dalla Gazzetta dello Sport. Apriti cielo, il questore mi alzò da terra minacciando un provvedimento disciplinare che, però, bontà sua, non arrivò mai. Per inciso, lo stesso questore, poco tempo dopo mi chiese se volevo essere trasferito dal commissariato di Cesena alla questura di Forlì per curare i rapporti con la stampa. Ovviamente non accettai per non correre il rischio di essere “omologato”.

Un altro episodio simile mi è accaduto tra il 2008 e il 2010, periodo in cui comandavo la polizia ferroviaria di Forlì-Cesena. Come sempre gestivo con ottimi risultati i rapporti con la stampa. Purtroppo, anche in quest’occasione, le uscite sui quotidiani locali non erano gradite a un funzionario del Compartimento Polfer dell’Emilia Romagna. Orbene, mentre il dirigente regionale non perdeva occasione per “riprendermi”, attendendo il momento giusto per inviarmi un provvedimento disciplinare, in contemporanea il Direttore Centrale della Polizia Ferroviaria presso il Ministero dell’Interno mi convocava a Roma. Pensai cosa avessi combinato di tanto grave, visti i miei precedenti sempre al limite del consentito. Invece, con grande stupore e soddisfazione, il numero uno della Polfer nazionale mi volle conoscere per complimentarsi personalmente. Infatti, non passava giorno senza che la “Rassegna Stampa del Dipartimento della Pubblica Sicurezza” non riportasse l’opera meritoria degli agenti della polizia ferroviaria di Forlì-Cesena, sempre a fiancodei cittadini.

Questi fatti servono da premessa ai misfatti e per evidenziare come le valutazioni di chi sta al piano di sopra, il più delle volte sono soggettive “prevenute” e quasi mai oggettive o con una seria valutazione del risultato finale. Non dovrei meravigliarmi più di tanto perché quando ho frequentato il corso da allievo guardia di Pubblica Sicurezza a Piacenza, nel lontano 1968, uno dei primi articoli del codice penale che mi rimase impresso nella mente fu la Calunnia considerata come un “venticello” contro il quale nulla si può fare!

Veniamo ora a una vicenda molto più delicata, vissuta a cavallo tra il 2007 e il 2008, che mi ha coinvolto molto da vicino, e di riflesso ha influito sulla mia carriera e in particolare sulla mia famiglia. Il 12 ottobre 2007 (ricordo che era il primo giorno di ferie) è iniziato per me, e per le poche persone che mi sono sempre state veramente vicino, un “calvario” che ho affrontato con dignità e professionalità, ma che non auguro al peggiore dei nemici. Un quotidiano locale, nella cronaca di Cesena, ha pubblicato un trafiletto nel quale si faceva cenno all’esigenza di attivare delle misure di sicurezza nei confronti di un importante imprenditore del posto, leader mondiale del wellness e vice presidente della Confindustria nazionale, senza riferimenti a persone, luoghi o fatti.

L’interrogatorio “bulgaro” nei confronti del giornalista (praticante) che scrisse il pezzo, finalizzato alla ricerca della “gola profonda”, fu svolto dal dirigente della squadra mobile, coadiuvato da un ispettore quale dattilografo, alla presenza e coordinati dal questore di Forlì. Com’è risaputo, l’autorità provinciale di pubblica sicurezza, non essendo ufficiale di polizia giudiziaria, avrebbe dovuto garantire la corretta suddivisione delle funzioni e non avocarle a sé.

Sicuramente, però, la posta era troppo alta per farsela sfuggire. Trovare velocemente un presunto colpevole, per evidenziare il buon lavoro dell’ufficio agli occhi del Dipartimento della P.S. e magari togliere di mezzo un elemento scomodo, con il tacito accordo di uno dei sindacati maggioritari. L’inquisizione, sollecitata nell’individuare quanto prima un capro espiatorio da trasmettere ai massimi vertici del Ministero dell’Interno e della Confindustria – che volevano a tutti i costi, uncolpevole – dopo poche ore inviò un’informativa alla Procura della Repubblica ravvisando a mio carico l’ipotesi di reato ex articolo 326 c.p. “rilevazione di notizie d’ufficio”. Il giorno successivo il questore, guarda caso alla velocità della luce (è bene chiarire che l’Amministrazione cui appartenevo è come un grosso elefante che arriva sempre o quasi alla meta, ma molto, molto lentamente) segnalava al Ministero dell’Interno l’urgenza di predisporre un provvedimento teso al mio allontanamento dalla provincia.

Pertanto, per incompatibilità ambientale, ero inviato per esigenze di servizio e con effetto immediato, prima in missione, poi trasferito, alla Questura di Ravenna. Per inciso, trattamento che non ha tenuto conto, neppure lontanamente, del mio stato di servizio e che non è riservato neppure al peggiore dei poliziotti. Il 22 febbraio 2008, dopo diversi incontri avvenuti nel tempo con i vertici del Dipartimento del Ministero dell’Interno, chiamati in causa dalla vicenda, ho rappresentato al Vice Capo della Polizia gli aspetti assurdi della storia, che mio malgrado stavo subendo (sicuramente a causa delle mie continue prese di posizione sindacali) ma che nello specifico non avevo parte, ricevendo dallo stesso formale assicurazione che se l’accusa penale si fosse conclusa con un nulla di fatto, non essendovi altri motivi che riguardavano la mia posizione professionale, il trasferimento sarebbe stato revocato.
Il
25 marzo 2008 il P.M. incaricato delle indagini preliminari, ha depositato la richiesta di archiviazione perché il fatto non costituisce reato. Il 27 marzo 2008 il G.I.P. ha definitivamente archiviato l’informativa di reato trasmessa dalla Squadra Mobile di Forlì in data 13 ottobre 2007, ritenendo condivisibili le ragioni del Pubblico Ministero.

Ho trascorso questo lungo periodo tra ferie, malattia, distacchi, permessi sindacali e il decesso di mio padre (14 febbraio 2008), occupandomi a tempo pieno solo ed esclusivamente dell’attività sindacale quale segretario generale regionale UIL.PS dell’Emilia Romagna. Volutamente non sono mai entrare pubblicamente nel merito della vicenda, nonostante le supposizioni, la cattiveria gratuita che mi circondava e feriva, e l’ostruzionismo da parte dell’Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza che intralciava ogni mia azione sindacale, potendo contare solo sul totale appoggio di pochi colleghi e della segretaria nazionale del mio sindacato. In quel lunghissimo anno mi sono sentito stritolato dalla burocrazia, che ovviamente perde di vista l’elemento umano e si nutre inevitabilmente di notifiche, domande, consulti medici, visite fiscali, riservate amministrative, quesiti, convocazioni, avvocati, consulenti del lavoro, sindacati, incontri ministeriali ecc. Il 25 aprile 2008 (anniversario della “mia” liberazione) dopo che il procedimento penale è stato archiviato, mi sono recato al Ministero dell’Interno dove ho rappresentato, vista la gravità di quanto accaduto, di non volere più prestare servizio alle dirette dipendenze del questore di Forlì-Cesena. È bene precisare che l’operatore di polizia che è trasferito per “incompatibilità ambientale” (provvedimento molto grave che viene prima della destituzione) per una questione di opportunità e coerenza, non dovrebbe rientrare nella sede che l’ha allontanato.

In realtà, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, grazie all’intervento del Capo della Polizia Antonio Manganelli, mi ha proposto – a due anni dal congedo per limiti di età – non solo di rientrare in provincia, ma il comando di un presidio di polizia, con tanto di scuse formali. Ovviamente mi sono sentito gratificato, anche se un anno di sofferenze non può essere ripagato e principalmente dimenticato! Il 24 novembre 2008 haassunto la dirigenza del Posto di Polizia Ferroviaria di Forlì-Cesena con competenza territoriale da Faenza a Santarcangelo di Romagna. Appena preso servizio, come previsto dal regolamento, mi sono presentato all’Autorità provinciale di pubblica sicurezza: per inciso il questore che mi aveva “cacciato” il quale mi raccomandò di stare tranquillo. Il giorno dopo, il mio primo atto ufficiale, fu quello di scrivere un documento sindacale sulla carenza degli organici, il controllo del territorio, il parco veicoli, il lavoro straordinario, il mancato coordinamento in provincia e altro ancora. Come si può notare il lupo, perde il pelo ma non il vizio! Fare attività sindacale non è semplice e/o gratificante, come qualcuno può pensare, principalmente se ci metti passione, impegno e costanza. Spesso sei considerato un “cane sciolto”, anche se come unico obiettivo non hai l’interesse personale ma la tutela dei diritti dei lavoratori di polizia e la sicurezza dei cittadini, sempre al servizio delle istituzioni democratiche dello Stato.

Ancora oggi una domanda mi sorge spontanea. Non è strano premiare un sostituto commissario che si sarebbe lasciato scappare – il condizionale è d’obbligo – una notizia d’ufficio coperta dal segreto istruttorio? Così come, ancora più strano, è stato non punire chi ingiustamente l’ha accusato e perseguitato per un fatto che non ha commesso! L’indimenticabile principe Antonio De Curtis, in arte Totò, affermava che l’umanità si divide in due categorie di persone: gli uomini (pochi) e i caporali (molti)! Le conclusioni di questa triste vicenda, significando che svariati e spiacevoli episodi sono capitati a tanti altri “eroi senza medaglia” le lascio a Voi, gentili lettori. Buona vita a tutti.

Il vice Direttore Ugo Vandelli – Foto Redazione

Il Vice Direttore Ugo Vandelli

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