Non era partito con i favori del pronostico, l’ecuadoregno Richard Carapaz, ma ha saputo mettere tutti in fila, forte anche di una squadra, la Movistar, validissima su ogni terreno e con il capitano designato in partenza, lo spagnolo Landa Meana, diventato gregario di questo ragazzo, professionista dal 2017, che però proprio sconosciuto non era.
Carapaz infatti nel Giro 2018 era terminato al quarto posto finale, a 5’44” da Froome, ed aveva vinto la tappa che portava, con finale in salita, al Santuario di Montevergine di Mercogliano, oltre ad ottenere la seconda piazza nel tappone alpino di Bardonecchia, quello per intenderci della fuga di 80 chilometri di Froome, che strappava la maglia rosa all’olandese Dumoulin.
Detto questo, era comunque logico indicare altri come favoriti principali del Giro numero 102, a partire da Roglic e Nibali, proseguendo con Dumoulin e Yates, senza dimenticare, ma in seconda fila, Landa, Majka, Jungels, ben consci però che gerarchie e favoriti possano cambiare in qualunque momento, favorite dall’evolversi della corsa e da una forma che non sempre è quella giusta nel momento giusto.
Carapaz ha vinto perché è stato il più bravo, molto semplicemente e senza giochini e giochetti di alleanze e dispetti che, spesso, hanno condizionato la corsa rosa nelle passate stagioni; il Giro 2019 è andato a chi ha saputo andare forte in salita, vincere due tappe e resistere agli attacchi portati da due campioni come Nibali e Roglic.
Come detto in precedenza, la Movistar ha corso benissimo, ha difeso alla grande la maglia rosa ed ha vinto con merito anche la classifica a squadre, costruita benissimo per una corsa molto dura e spettacolare quale è stata l’edizione numero 102 della corsa rosa; Landa Meana, partito con i gradi di capitano, si è rivelato il gregario migliore e più fidato della maglia rosa, forse memore di qualche comportamento non proprio irreprensibile, al riguardo, in maglia Astana e del Team Sky.
Che dire invece dei favoriti della vigilia? Dumoulin è subito stato costretto al ritiro da una brutta caduta che ha privato la corsa di un protagonista certo, mentre l’inglese Yates, in rosa per tredici tappe nel 2018 e poi crollato in montagna, ha dato l’impressione di voler correre puntando tutto sulla terza settimana e sulle montagne, senza però riuscire mai ad essere davvero protagonista, come dimostra l’ottavo posto finale, a 7’49” dal vincitore.
Nibali e Roglic, a loro volta, ci hanno provato, ma probabilmente (il senno del poi è sempre facile, specie seduti in poltrona) hanno sbagliato a lasciare troppo spazio a Carapaz sia salendo verso Ceresole-Lago Serrù, che nella tappa successiva che ha portato i girini a Courmayeur; quando poi hanno tentato di recuperare, si sono trovati davanti una maglia rosa galvanizzata, in forma davvero smagliante e coadiuvata da una squadra che non ha mollato di un centimetro.
Facile come detto, a giochi fatti, cercare cause e motivi di una vittoria o di una sconfitta, che in questo caso credo sia dipesa unicamente dalla forma e dalle forze dei contendenti, perché ognuno ha dato tutto ciò che aveva in queste lunghe e difficili ventuno tappe, durante le quali forse (sottolineato) il vero rammarico è quello di non aver potuto scalare il Passo Gavia (2.618 metri, Cima Coppi, lungo 16,5 chilometri e con un dislivello di 1.320m.), che sarebbe stato “antipasto” ben diverso dell’Aprica, al Mortirolo, soprattutto considerando il freddo e la pioggia che hanno accompagnato, per l’ennesima volta, i corridori verso il traguardo di Ponte di Legno.
Il Giro d’Italia 2019 è finito, dopo tre settimane e 3.578,8 chilometri percorsi, 46.500 metri di dislivello e tanto, tanto, tantissimo spettacolo, in corsa ed ai lati delle strade, con i colori del gruppo, della carovana e del pubblico; c’è tanto da raccontare di questo spettacolo e non mancheremo di farlo nei prossimi giorni, anche grazie alle immagini fotografiche raccolte sulla strade del Giro.
Il Direttore Maurizio Vigliani – Foto Patrizia Ferro