C’era una volta un mondo nel quale i ragazzi giocavano all’aperto, scoprivano la bellezza della natura e si sfidavano in giochi inventati con la fantasia. Oggi, a quel mondo, subentra un’ombra inquietante: le baby gang, un fenomeno che ha preso piede in diverse città italiane, trasformando la spensieratezza dell’infanzia in una corsa all’emarginazione e alla violenza. Ma cosa spinge questi adolescenti, che dovrebbero essere i custodi del futuro, a diventare protagonisti di atti tanto gravi e, talvolta, feroci?

Innanzitutto, è fondamentale comprendere che non si nasce delinquenti. Dietro ciascuna di queste gang ci sono storie di solitudine, mancanza di valori e, purtroppo, un vuoto educativo che milioni di famiglie italiane si trovano a dover affrontare. Purtroppo, in molte di queste realtà, la figura del genitore è assente oppure incapace di offrire quella guida morale e affettiva necessaria a formare anime sensibili e consapevoli.

La società, in tutte le sue complessità, gioca un ruolo cruciale. I media bombardano i giovani con un’idea di successo che è strettamente legata al possesso, al denaro, all’influenza. Ma dove sono finiti i valori dell’arte, dell’amore per il prossimo, del rispetto verso il mondo animale e la gentilezza verso anziani e bisognosi? Questi ragazzi, privi di riferimenti solidi, si trovano di fronte a un bivio: abbracciare la cultura del benessere collettivo o cedere al richiamo di un potere immediato, fatto di violenza e di sfida.

In questo contesto, le baby gang diventano la risposta a un bisogno di appartenenza, di riconoscimento, di una famiglia che non possono trovare nelle mura di casa. Si aggregano, creando un nuovo contesto sociale in cui la forza diventa il linguaggio, e la lealtà verso il gruppo, l’unico valore che riescono a cogliere in un mondo che sembra averne dimenticato tanti.

Eppure, tra le onde di questa violenza, ci sono piccole isole di speranza. Alcuni ragazzi riescono a trovare nella musica, nel teatro, nell’arte figurativa e nello sport una via d’uscita, un modo per esprimere le proprie emozioni e dare voce a un malessere che, altrimenti, esploderebbe in atti di aggressione. Educatori, artisti e volontari stanno provando a recuperare questi giovani, a ridare loro una dignità e un’identità che spesso manca.

Fermiamoci un momento a riflettere: cosa stiamo offrendo ai nostri ragazzi? Stiamo costruendo per loro un futuro illuminato da ideali o, al contrario, stiamo alimentando un buco nero nel quale la vita sembra essere solo un gioco di potere, una sfida alla sopravvivenza?

Come Enzo Biagi amava sottolineare, la cronaca non è solo un elenco di fatti. È la storia di uomini e donne, di speranze e di fallimenti. E nel caso delle baby gang, ci troviamo di fronte a una storia dal finale aperto, in cui tutti possiamo scrivere il nostro capitolo. Dobbiamo essere in grado di dare a questi ragazzi la possibilità di sognare di nuovo, di riscoprire il valore della comunità e dell’aiuto reciproco.

Perché ogni vita, anche quelle smarrite, merita una seconda possibilità. Insegniamo loro che ogni gesto di gentilezza verso il prossimo è un tassello in più per costruire un mondo migliore, un mondo in cui il rispetto e la pietas tornino a essere il linguaggio universale delle generazioni future.

Io vi dico che allo stesso modo vi sarà in cielo più gioia per un solo peccatore che si ravvede, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.(Luca 15,7)

A cura di Marco Benazzi – Foto Imagoeconomica

Editorialista Marco Benazzi

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