Nel 2023 il reddito disponibile delle famiglie per abitante del Mezzogiorno si attesta a 17,1mila euro annui e si conferma il più basso del Paese: la distanza da quello del Centro-Nord, pari a 25mila euro, è superiore al 30%. Lo si legge nel Report Istat sui conti economici territoriali.

Nell’anno però il Pil in volume è aumentato dell’1,5% nel Mezzogiorno, dello 0,7% nel Nord-ovest, dello 0,4% nel Nord-est e dello 0,3% nel Centro (+0,7% a livello nazionale).

Il Nord-Ovest resta al primo posto nella graduatoria del Pil pro-capite, con un valore in termini nominali di 44,7mila euro mentre nel Mezzogiorno il livello risulta leggermente inferiore a 24mila euro.

Nel 2023 il Pil in volume a livello nazionale è aumentato dello 0,7% rispetto all’anno precedente. Il Mezzogiorno ha mostrato la crescita più rilevante (+1,5%), sostenuta dalla forte dinamica registrata nei settori delle Costruzioni (+7,3%) e dei Servizi finanziari, immobiliari e professionali (+2,8%).

L’Industria è risultata stabile rispetto al 2022, mentre in Agricoltura la diminuzione del valore aggiunto è stata più contenuta di quella media nazionale (-2,1%, a fronte del -3,5% a livello nazionale).

Nel Nord-ovest il Pil è aumentato dello 0,7%, in linea con l’andamento medio nazionale. La crescita è stata guidata dalla dinamica positiva del valore aggiunto nei settori dell’Agricoltura (+4,8%, unica ripartizione in positivo), delle Costruzioni (+5,4%) e del Commercio, pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni (+1,7%).

Si registra, invece, una flessione dell’1,9% nel valore aggiunto dell’Industria. Nel Nord-est il Pil ha registrato una modesta crescita, pari allo 0,4%, segnata dall’andamento fortemente negativo dei settori dell’Agricoltura (-8,0%) e dell’Industria (-1,1%). Sono state ampliamente positive le performance realizzate nei settori delle Costruzioni (+6,1%) e del Commercio (+2,0%).

Sostanzialmente stabile è risultato il Pil nel Centro (+0,3% rispetto al 2022), sintesi di marcate flessioni del valore aggiunto in Agricoltura e Industria (rispettivamente, -8,2% e -3,1%) a fronte di un significativo incremento del valore aggiunto nelle Costruzioni (+8,6%) e negli altri settori dei servizi. Nel 2023, i consumi finali delle famiglie sono cresciuti in volume dell’1,0% a livello nazionale.

Le dinamiche nelle ripartizioni sono piuttosto simili, con incrementi di poco superiori alla media nazionale nel Centro e nel Nord-est (+1,1% rispetto al 2022) e leggermente inferiori nel Mezzogiorno (+0,9%). Nel 2023 il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto in valori correnti del 4,9% a livello nazionale.

L’incremento più significativo si è osservato nel Nord-Ovest (+5,7% rispetto al 2022), quello più contenuto nel Centro (+3,9%). Sostanzialmente in linea con la media nazionale sono state le dinamiche del reddito disponibile nel Nord-est e nel Mezzogiorno (rispettivamente, +5,1% e +4,7%).

La crescita dell’inflazione ha vanificato l’aumento della ricchezza netta delle famiglie italiane nel 2023 grazie al buona andamento dei mercati finanziari. Secondo i calcoli di Banca d’Italia e Istat alla fine del 2023 la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata pari a 11.286 miliardi di euro. Rispetto al 2022 è aumentata del 4,5% a prezzi correnti, collocandosi sui livelli più elevati dal 2005, primo anno a partire dal quale sono disponibili i dati. “Tuttavia, valutata a prezzi costanti, la ricchezza netta è ancora inferiore a quella del 2021 di oltre 7 punti percentuali a causa della forte inflazione osservata nel 2022”.

Nel 2023, a livello nazionale, l’input di lavoro complessivo, misurato in termini di numero di occupati, è aumentato dell’1,9%. con una crescita che ha interessato tutto il Paese ma è stata più sostenuta nel Mezzogiorno con un +2,6%. Il Nord-est ha mostrato un incremento leggermente superiore alla media nazionale (+2,0%), mentre nel Nord-ovest e nel Centro gli incrementi sono stati più contenuti, rispettivamente dell’1,5% e dell’1,2%.

Nel Mezzogiorno la crescita occupazionale si osserva in tutti i settori economici, ma è legata soprattutto all’andamento nei settori dell’industria (+3,5% rispetto al 2022) e dei servizi (+2,8%), che hanno registrato, in quest’area, gli aumenti più consistenti. Da segnalare, inoltre, l’aumento degli occupati nelle Costruzioni (+2,0%, a fronte del +1,3% a livello nazionale). In agricoltura la modesta crescita degli occupati(+0,4%) è in controtendenza, con un calo osservato nelle altre ripartizioni geografiche.

L’incremento del Nord-est è stato determinato dalle dinamiche dei settori dei servizi e dell’industria, che hanno registrato incrementi nel numero degli occupati pari, rispettivamente, al2,4% e al 2,2%. In Agricoltura la contrazione dell’occupazione è stata più forte di quella media nazionale (-4,9% rispetto al2022, a fronte di una diminuzione dell’1,5% registrato per l’Italia), mentre gli occupati delle Costruzioni sono cresciuti dello 0,3%.

Nel Nord-ovest la crescita complessiva dell’input di lavoro è stata trainata essenzialmente dall’aumento nel settore dei Servizi (+2,0% rispetto al 2022, in linea con la media nazionale), con una modesta variazione del settore dell’industria (+0,6%). In lieve diminuzione gli occupati nel settore delle costruzioni (-0,5%), mentre si è registrata un forte flessione nel settore dell’agricoltura (-4,9%). Nel Centro, l’aumento dell’occupazione nel 2023 si è concentrato prevalentemente nel settore delle Costruzioni (+4,0%). I settori dell’industria e dei servizi hanno segnato un aumento, rispettivamente, dell’1,3% e dell’1,1%, mentre il settore dell’agricoltura ha mostrato una contenuta diminuzione (-0,7%).

Nel Mezzogiorno si conferma la maggiore incidenza dell’economia non osservata. Nel 2022, ultimo anno per cui sono disponibili le informazioni, l’economia non osservata (definita dalla somma della componente sommersa e di quella illegale) ha rappresentato in Italia l’11,2% del valore aggiunto complessivo. L’incidenza sul Pil, in lieve aumento rispetto al 2021, è stata pari al10,1%. L’economia non osservata ha un peso molto alto nel Mezzogiorno, dove rappresenta il 16,5% del valore aggiunto, e a seguire nel Centro (11,6%). Sensibilmente più contenuta, e inferiore alla media nazionale, è l’incidenza nel Nord-est(9,3%) e nel Nord-ovest (8,8%).

A livello regionale, il peso dell’economia non osservata è massimo in Calabria, pari al 19,1% del valore aggiunto complessivo, e minimo nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen (7,7%). Secondo la definizione dell’Istat, il valore aggiunto è l’aggregato che misura il livello di attività del sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi adisposizione della comunità per impieghi finali. È la risultante della differenza tra il valore della produzione di beni e servizi conseguita dalle singole branche produttive, e il valore dei beni e servizi intermedi consumati nel processo produttivo (materie prime e ausiliarie impiegate e servizi forniti da altre unità produttive). Corrisponde alla somma delle retribuzioni dei fattori produttivi e degli ammortamenti. Può essere calcolato al costo dei fattori e ai prezzi base.

A cura di Renato Lolli – Foto Imagoeconomica

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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