Buongiorno, amici cinefili! Oggi celebriamo un artista che ha illuminato il grande schermo con la sua visione, un maestro della luce e dell’ombra, un uomo capace di dare vita ai sogni e di rendere palpabili le emozioni. Parliamo di Carlo Di Palma, nato il 17 aprile 1925, un centenario che merita di essere festeggiato con tutti gli onori di un re, perché nel suo regno di celluloide ha cavalcato il tempo con la grazia di un ballerino e la potenza di un titano.

Immaginate un giovane Di Palma, occhi sognanti, in un’Italia che si stava risvegliando dalle macerie della guerra. Già da allora, il suo sguardo penetrante non si limitava a vedere: osservava, captava e, soprattutto, traduceva in immagini tutto ciò che lo circondava. La sua carriera si intrecciò con i nomi più illustri del cinema, da Gillo Pontecorvo a Woody Allen, passando per il genio di Michelangelo Antonioni e l’ironia di Mario Monicelli. Un’orchestra di talenti che, sotto la sua direzione, creò partiture visive di incommensurabile bellezza.

Ma non parliamo solo di luci e ombre, di pellicole e fotogrammi. Qui si tratta di vita, di passione, di amori incandescenti. Sì, perché Carlo Di Palma non è stato solo un tecnico, un artista, un maestro. È stato anche un cuore pulsante, legato per anni alla meravigliosa Monica Vitti, musa ispiratrice e compagna di avventure, in un tango che ha attraversato l’arte e il sentimento. Un amore che ha illuminato i set, rendendoli ancora più magici, e che ha fatto vibrare i colori della celluloide come corde di un violino.

Ogni sua inquadratura è un colpo di fulmine, un’epifania visiva che riesce a racchiudere l’essenza di un’epoca, di una società in cambiamento, di una poetica che sa di vita e di lotta. Ha lavorato in film che hanno segnato la storia del cinema italiano, da “Divorzio all’italiana” a “La tragedia di un uomo ridicolo”, da “Deserto rosso” a “Ombre e nebbia”, lasciando un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo.
Dal mio personale punto di vista, la fotografia in bianco e nero ha avuto un ruolo fondamentale nel cinema, specialmente nei film diretti o curati da Carlo Di Palma. Tra i tanti, ne menziono quattro che adoro, dei quali vorrei analizzare l’importanza culturale, politica e sociale:
Kapò (1960).
In “Kapò“, diretto da Gillo Pontecorvo, la fotografia in bianco e nero gioca un ruolo cruciale nel trasmettere il dramma e l’orrore della vita nei campi di concentramento. La scelta di questa tecnica visiva accentua il realismo e la brutalità della narrazione, rendendo le immagini ancora più potenti e suggestive. La mancanza di colore contribuisce a creare un’atmosfera cupa e opprimente, riflettendo le atrocità della guerra e la disumanizzazione degli individui. La fotografia di Di Palma aiuta a trasmettere un messaggio politico forte, evidenziando la sofferenza e la lotta per la sopravvivenza dei personaggi.

La lunga notte del ’43 (1960).
Questo film, diretto da Florestano Vancini, utilizza la fotografia in bianco e nero per evocare un senso di nostalgia e di perdita legato alla Resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. La scelta del bianco e nero permette di enfatizzare le emozioni dei personaggi e la drammaticità degli eventi storici. La luce e l’ombra vengono utilizzate sapientemente da Di Palma per creare tensione e per sottolineare i dilemmi morali affrontati dai protagonisti, riflettendo le complessità della lotta contro il fascismo e le sue conseguenze sociali.

Divorzio all’italiana (1961)
In questo film di Pietro Germi, la fotografia in bianco e nero si sposa perfettamente con il tono satirico e critico della narrazione. Di Palma utilizza il bianco e nero per mettere in evidenza le contraddizioni della società italiana, in particolare riguardo alle norme sociali e ai tabù legati al matrimonio e al divorzio. La scelta del bianco e nero contribuisce anche a dare un tocco di classicità e di eleganza alle scene, permettendo al pubblico di concentrarsi sui dialoghi e sulle performance attoriali. La critica sociale emerge chiaramente, mostrando le ipocrisie della società dell’epoca.

Omicron (1963)
In “Omicron”, diretto da Ugo Gregoretti, la fotografia in bianco e nero è utilizzata per dare un senso di alienazione e distacco, in linea con i temi di identità e controllo che permeano il film. La scelta del bianco e nero serve a enfatizzare il carattere surreale della storia e a riflettere le inquietudini dell’epoca, legate ai cambiamenti sociali e tecnologici. La fotografia di Di Palma contribuisce a creare un’atmosfera inquietante, che invita il pubblico a riflettere criticamente sulle conseguenze della modernità.

In generale, la fotografia in bianco e nero curata da Carlo Di Palma in questi film non è solo una scelta estetica, ma un potente strumento narrativo che arricchisce le storie e i temi affrontati. Attraverso l’uso della luce e delle ombre, Di Palma riesce a trasmettere emozioni profonde e a mettere in evidenza questioni culturali, politiche e sociali rilevanti, restituendo al pubblico un’esperienza cinematografica intensa e memorabile.

E così, mentre ci apprestiamo a festeggiare il centenario di questo gigante, rendiamo omaggio a un uomo che ha saputo raccontare l’umanità con la sua macchina da presa. Carlo Di Palma, con la sua visione unica e rivoluzionaria, ha trasformato il cinema in un’esperienza sensoriale, un viaggio tra sogno e realtà, dove ogni scena è un dipinto e ogni ombra un verso di poesia.

Oggi più che mai, ci ricordiamo del suo genio, della sua arte e della sua vita, perché ogni fotogramma che ha catturato continua a brillare come una stella nel firmamento del cinema. E noi, spettatori incantati, abbiamo il privilegio di godere di quel magico universo che ha creato, mentre il suo spirito, di certo, continua a danzare tra le luci e le ombre del nostro cuore.

Grazie, Carlo Di Palma!

A cura di Marco Benazzi editorialista – Foto Imagoeconomica

Editorialista Marco Benazzi

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui