CONSIGLIO ISTRUZIONE, GIOVENTÙ, CULTURA E SPORT - FAZZOLETTO ARANCIONE IN OCCASIONE PER LA GIORNATA INTERNAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Le etichette sociali rivestono un ruolo centrale nella costruzione e perpetuazione della violenza di genere. In molti casi, la società tende a etichettare la vittima in modo vittimizzante, spostando su di essa la responsabilità della violenza subita. Espressioni come “la donna che provocava” o “la donna che non sapeva dire di no”,“uccisa nigeriana” sono solo alcune delle modalità con cui la cultura patriarcale giustifica la violenza. Queste etichette, inoltre, riducono il fenomeno a un fatto privato, individuale o etnico, trascurando le dimensioni strutturali e collettive della violenza di genere, oltre al fatto che esiste nella violenza contemporanea il concetto di intersezionalità, cioè una complessità indefinibile con le etichette, perché la violenza con l’immigrazione si porta dietro anche esperienze complesse e stratificate di molte persone, soprattutto di coloro che vivono la violenza alla confluenza di razza, genere, e identità diverse, in un paese straniero.

Le vittime di stupro, nelle opere letterarie, sono spesso descritte attraverso l’etichetta di “vittima innocente” o “donna rovinata”, due etichette che, seppur rivelatrici di un danno profondo, non riescono a cogliere la sottilissima psicologia sociale dietro questi crimini. Nell’Ottocento e Novecento, opere come «Il secondo sesso» di Simone De Beauvoir contestano proprio queste etichette, cercando di restituire la complessità della violenza e l’importanza di liberare la narrativa delle vittime dalle costrizioni sociali imposte da ruoli sessuali tradizionali. Per esempio, nella sezione dedicata alla sessualità, De Beauvoir discute come la donna venga ridotta a oggetto di desiderio, ma anche come questa visione possa portare a una sofferenza psicologica profonda. Un passaggio fondamentale di questa sezione affronta come la donna venga definita principalmente dal desiderio maschile, una visione che non solo la riduce a oggetto ma che implica anche una sofferenza psicologica profonda. Nel capitolo “La donna e l’amore”, de Beauvoir esplora l’oggettificazione della donna nel contesto della sessualità, come la donna viene definita attraverso lo sguardo maschile e come la sua sessualità venga subordinata a quella dell’uomo. De Beauvoir scrive: «L’amore per una donna non è mai una relazione di eguali. La donna è concepita come l’oggetto del desiderio maschile; essa non ha alcuna autonomia sessuale, ma è destinata a soddisfare i bisogni e i desideri dell’altro» (Simone de Beauvoir, Il secondo sesso, Capitolo 2 “La donna e l’amore”).

Allo stesso tempo, l’aggressore è spesso descritto come “un pazzo”, “un mostro” o “un uomo con problemi”. Sebbene in alcuni casi gli autori di violenza possano avere tratti psicopatologici, la maggior parte degli aggressori non è malata, ma agisce secondo modelli appresi e radicati nella cultura della disuguaglianza di genere. In questo modo, si evita di affrontare la vera natura della violenza, che è legata a strutture di potere e a norme sociali che legittimano il dominio maschile.

Nella letteratura, la violenza di genere è stata frequentemente associata a etichette come “possesso”, “desiderio”, “vendetta”, “colpa” o “complicità”. Queste etichette, purtroppo, tendono a ridurre e a semplificare una realtà complessa, spesso ignorando la molteplicità delle esperienze delle vittime e le cause profonde della violenza.

La letteratura è una potente agenzia di socializzazione che definisce, trasmette e spesso sfida le norme e i valori sociali. Le etichette linguistiche che vengono applicate alla violenza di genere in letteratura influiscono notevolmente sul modo in cui la società comprende e discute questi fenomeni. In molti casi, l’uso di determinate parole e concetti nel contesto letterario contribuisce alla creazione di categorie che possono semplificare o, al contrario, problematicizzare la violenza di genere.

La letteratura contemporanea è spesso all’avanguardia nel tentativo di de-costruire queste etichette. Autori come Margaret Atwood, con il suo celebre romanzo The Handmaid’s Tale,pubblicato nel 1985, usano il linguaggio per esplorare come le etichette sociali siano imposte su donne di diverse culture, generando una nuova consapevolezza nelle lettrici e nei lettori. Atwood crea un mondo distopico dove la violenza di genere è sistematica e parte del controllo politico e sociale delle donne, mettendo in luce come il linguaggio e le etichette contribuiscano a rinforzare il patriarcato. In “The Handmaid’s Tale”, Atwood crea un sistema sociale dove le donne sono costantemente etichettate e ridotte a ruoli che limitano la loro libertà e dignità. Il titolo del romanzo pubblicato da Mondadori è “Le ancelle”. In questo romanzo si può cogliere come le donne sono etichettate solo in base alla loro capacità riproduttiva, diventando strumenti per la perpetuazione della società. Così vengono, quindi, sottratte alla loro identità individuale, e il loro valore sociale è determinato esclusivamente dalla loro utilità procreativa.

Il romanzo di Atwood dimostra come il linguaggio possa essere usato come uno strumento di controllo sociale per legittimare e mantenere il patriarcato. Le etichette sociali imposte alle donne sono, infatti, il prodotto di un linguaggio normativo che riduce l’individualità e impedisce alle donne di definirsi autonomamente. Le donne non sono più in grado di possedere i propri corpi o le proprie voci, e il linguaggio che utilizzano è spesso limitato e deformato. Questo processo linguistico di deformazione rende più facile per la società accettare la violenza sistematica e le ingiustizie. Atwood suggerisce che il controllo delle donne, non solo nel corpo ma anche nel linguaggio, si estende anche a diverse culture e periodi storici. Ad esempio, la classificazione sociale delle donne come madri, mogli o lavoratrici, senza alcun riconoscimento della loro identità personale, è un tema ricorrente anche nelle culture contemporanee. Le donne di minoranza etnica o le donne provenienti da culture diverse, come quelle rappresentate in alcune delle opere più recenti di autrici femministe, affrontano una doppia oppressione, unita alla discriminazione di genere e a quella etnica o culturale. In queste situazioni, le etichette sociali imposte sono ancora più limitanti e oppressive, come le donne musulmane, le donne di colore o le migranti, le cui esperienze vengono spesso rese invisibili o stigmatizzate.

Fonti

«Il secondo sesso»; Simone de Beauvoir; Einaudi 1953

«The Handmaid’s Tale», Margaret Atwood, casa editrice McClelland and Stewart; 1985

A cura di di Yuleisy Cruz Lezcano editorialiasta – Foto ImagoEconomica 

Redazione IL POPOLANO

La Cesenate

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