
Era l’11 febbraio del 1990 quando Nelson Mandela, leader dell’African National Congress e difensore dei diritti della popolazione nera esclusa dalla vita civile, uscì dal carcere dopo 27 anni di ingiusta detenzione. Fu l’inizio della fine dell’apartheid.
Nel 1994, nelle elezioni che segnarono l’instaurazione della democrazia, venne eletto come primo presidente non bianco della storia del Paese. La lotta alla povertà assoluta che regnava in Africa, fu uno dei punti salienti del suo incarico. Scaduto il mandato, non si ricandidò. A distanza di 30 anni qual è lo stato della democrazia della “Rainbow Nation“?
Secondo un report di due anni fa, il Sudafrica è il Paese è ancora quello rimasto con più disuguaglianze tra i 164 Paesi nel database sulla povertà globale della Banca Mondiale. Circa 18,2 milioni di persone vivono in condizioni di povertà estrema. Un dato in aumento rispetto al 2022.
Circa il 20% della popolazione soffre di insicurezza alimentare, e la cattiva alimentazione ha un impatto importante sulla salute pubblica. Gli ospedali sono sovraffollati e le risorse del tutto insufficienti. I blackout sono all’ordine del giorno per milioni di persone, che devono anche fare i conti con un sistema di trasporti inadeguato e con la fragilità delle infrastrutture. Almeno un terzo dei sudafricani di età compresa tra 16 e 64 anni è disoccupato, il tasso più alto tra tutti i Paesi del G20.
Il Direttore editoriale Carlo Costantini – Foto Imagoeconomica