ANNA MARIA BERNINI MINISTRO, GINO CECCHETTIN PADRE DI GIULIA, DAVIDE CECCHETTIN FRATELLO DI GIULIA, ELENA CECCHETTIN SORELLA DI GIULIA, DANIELA MAPELLI RETTRICE UNIVERSITA' DI PADOVA
Ieri, 12 maggio, Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, brutalmente assassinata dal fidanzato Filippo Turetta, era presente al Salone del Libro di Torino per leggere il “monologo” scritto a suo ricordo.
Presente anche il padre, Gino Cecchettin, per la presentazione del libro “Cara Giulia” scritto a due ani con Marco Franzoso ed edito da “Rizzoli”.
Elena indossa una t-shirt con in evidenza la scritta “Stop al genocidio“.
Le sue prime parole: “È giunto il momento di mettere in discussione l’idea stessa di forza e di esplorare altre forme di potere, quelle che non si basano sull’oppressione e sulla coercizione”.
Il pubblico tace, ascolta in silenzio le sue toccanti parole: “Lottare per liberarci dalle catene del patriarcato e dalla violenza che questo permette. Viviamo in un mondo che continua a essere plasmato da concetti arcaici di dominio e sottomissione, dove il tentativo di sopraffare l’altro è il metodo principe per dimostrare la propria forza. Forza bruta, aggressione. Questo mondo, pregno di strutture e comportamenti patriarcali vuole che le donne stiano zitte, a subire, ad adempiere al ruolo che la società ci ha riservato, ad accettare i soprusi e le mancanze di rispetto, anche quando sentiamo di esserci distaccate dal ruolo di ‘angelo del focolare, se prestiamo attenzione non siamo comunque considerate al pari degli uomini che occupano il nostro stesso ruolo. Per questo dobbiamo essere rivoluzionarie, riprenderci lo spazio che ci spetta, smettere di farci piccole per rispettare quelle che sono le aspettative della mascolinità fragile che ha bisogno di dominare per sentirsi appagata, che come un oppressore ci vuole zitte e ubbidienti. La storia ci insegna che le libertà delle donne sono state conquistate a fatica, spesso dopo anni di lotta e sacrificio. Ma anche oggi, nonostante i progressi, le donne continuano a essere trattate come cittadine di seconda classe. La libertà di scelta riguardo al proprio corpo è ancora una battaglia in corso, una battaglia che non dovrebbe nemmeno essere necessaria in un mondo giusto ed equo. La cultura dello stupro, radicata nel tessuto stesso della nostra società, legittima ogni forma di violenza e di sopraffazione nei confronti delle donne. L’aggressione, lo stupro e il femminicidio non sono semplicemente dei delitti passionali, ma atti di potere, modi per mantenere le donne nel loro posto e per punirle quando osano sfidare quello che viene percepito come l’equilibrio naturale delle cose. In questo mondo, però, c’è chi resiste, e innalza la propria voce per sfidare la normalità che legittima e giustifica coloro che perpetuano violenza. Per questo bisogna opporsi e contestare questo sistema che ci vuole rinchiuse e obbedienti. La resistenza è sempre stata parte integrante della storia delle donne. Prendiamo esempio dalle donne del passato che hanno sempre lottato, anche quando il loro nome non è mai stato menzionato. Il 25 aprile, da poco trascorso, segna una data importantissima per la nostra storia, la Liberazione dal regime fascista. Partigiani e partigiane hanno deciso di resistere ad un regime che violava la libertà, un regime violento che reprimeva a forza i cittadini. Durante la lotta partigiana, le donne hanno combattuto per la propria libertà e per riprendersi quegli spazi che erano stati loro negati, poiché viste come unidimensionali, e tenute ad adeguarsi al copione che era stato scritto per loro. Si stima che siano state almeno 70mila le donne che hanno avuto un ruolo attivo nella Resistenza, nonostante non vengano ricordate tanto quanto i compagni, la loro partecipazione è stata fondamentale. Dopo la guerra gran parte di queste donne sono dovute tornare al ruolo a cui la società le designava, ma la resistenza e il desiderio di emancipazione non sono mai terminati. E oggi, più che mai, è necessario continuare quella lotta per liberarci dalle catene del patriarcato e dalla violenza che questo permette. Opponiamoci e ribelliamoci alla violenza, alla violenza di genere, a tutte le forme di violenza. È compito degli uomini utilizzare il loro privilegio e il loro potere per smantellare le strutture patriarcali che li favoriscono. Siamo d’esempio alle generazioni future ed educhiamo su valori di rispetto, uguaglianza e consenso. E’ il momento di mettere in discussione l’idea stessa di forza e di esplorare altre forme di potere, quelle che non si basano sull’oppressione e sulla coercizione. La lotta contro la violenza è una lotta per la libertà e per la dignità”
Non appena terminato il monologo e iniziata la sua intervista con Alessandra Chiricosta, viene interrotta da una “contestatrice” con tanto di rosario tra le mani, che si mette ad urlare: “Vade retro Satana. Il patriarcato è un insulto in confronto a voi. Le bestie hanno mantenuto l’istinto materno, voi invece uccidete i vostri figli. Giù le mani dai bambini. Non si uccidono”.
Elena, non certa intimidita da tanta furia, replica: “Penso che tutto il corpo della donna sia sotto attacco. Guerra nella guerra. Quando si tratta di conquistare territori lo stupro è considerato arma di guerra. Un modo per dimostrare di essere più potenti”.
Il padre, Gino, inizia il suo discorso affermando: “Giulia era una persona buona. Aiutava chiunque ne avesse bisogno, non sopportava la violenza. Con uno sguardo ti metteva dalla parte del torto. Oggi è il simbolo della lotta contro il femminicidio”.
Gino Cecchettin coglie l’occasione per annunciare la nascita a ottobre, massimo novembre, della “Fondazione Giulia” mirata a fare formazione nelle scuole promuovendo il dialogo e la prevenzione della violenza, dicendo: “Vogliamo che il suo nome sia associato a un messaggio di speranza e di cambiamento”.
Non trascura due parole su Flippo, l’assassino di sua figlia, e sottolinea: “Giulia doveva accettare il suo no, probabilmente avrebbe trovato un amore più grande e avrebbe passato con lei il resto della vita anziché dove si trova ora. Ora so quanto è importante un abbraccio. Ma a Giulia io non potrò più dire ti amo. Ho scritto il libro perché si era tagliata una pellicola. Cercavo un contatto, tutti i non detti, gli abbracci, quello che un padre vuole dare alla figlia e non lo può fare. Da mia figlia ho imparato a essere gentile e un pò meno maschio alfa. Quando Elena mi ha parlato per la prima volta di patriarcato ho preso il dizionario e ho capito che aveva ragione. A Giulia è stata negata la possibilità di essere libera. Io supporterò Elena nella sua lotta, anche su alcune tematiche abbiamo punti di vista diversi la sosterrò sempre”.
A cura di Pier Luigi Cignoli – Foto ImagoEconomica